Pensi alla Liguria e la associ al mare … ma in Liguria ci sono anche la campagna, e la montagna. Qui nell’estremo ponente, nel giro di pochi chilometri, il territorio cambia radicalmente. In un attimo si passa dalle spiagge del mediterraneo alle alpi innevate.
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In passato questo determinava le materie prime disponibili, creando le diverse tradizioni culinarie dei nostri luoghi. La cucina seguiva il territorio: da quella marinara delle coste si passava a quella dell’entroterra, fatta di ortaggi verdi, legumi e animali da cortile, per arrivare agli alpeggi, ai pascoli di ovini e bovini, dove diventa “cucina bianca” a base di latte, formaggi, burro, farinacei ed ortaggi poco colorati come rape, porri, aglio, patate.
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Un caposaldo della cucina dell’entroterra? Il coniglio alla ligure. Quello che offriva la nostra campagna: animali piccoli, semplici da allevare anche in spazi ristretti tra un terrazzamento e l’altro; olio d’oliva; vino bianco, erbe aromatiche, olive, pinoli.
Intanto raccogliamo le erbe aromatiche: timo e rosmarino, un po’ più del primo che del secondo. Alla Carruba si fa presto, si passa in mezzo al giardino, si allunga una manina et voilà.
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Timo e rosmarino si legano insieme con lo spago da cucina per ottenere il mazzetto.
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Per un coniglio intero io di mazzetti ne faccio due, che poi tolgo a fine cottura.
Coniglio fatto a pezzi, pulito e lavato da una parte.
Base pronta dall’altra: in abbondante olio evo mettiamo a scaldare pinoli (tostati li vogliamo, non pallidini), olive, i mazzetti e due spicchi d’aglio.
Alziamo la fiamma per scaldare bene l’olio, quando metteremo la carne dovrà rosolare vivacemente.
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Avrete notato che mancano fegato, rognoncini ecc. Il fegato si può cuocere e mangiare come pezzo a sé oppure cuocerlo, tritarlo a coltello e rimetterlo in pentola per arricchire la puccia finale. In famiglia però c’è a chi non piace, per cui non lo uso e con le interiora seguo una strada alternativa: ne faccio una specie di paté da mangiare a parte (io lo spalmo sul pane casereccio tostato, tipo crostino toscano). Da qui in poi, in parallelo col coniglio, andiamo anche col crostino di interiora.
Coniglio
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Quando la carne è ben rosolata si aggiunge il vino. Niente storie: il coniglio è alla ligure, per cui l’olio dev’essere evo di taggiasca ligure, le olive devono essere taggiasche liguri e il vino dev’essere Vermentino doc ligure.
Una volta uno ci ha messo del vino bianco qualsiasi, sembra che il coniglio si sia ricomposto e sia scappato dalla finestra.
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Mettiamo il coniglio a pezzi nell’olio ben caldo e rosoliamo a fiamma alta, disponendo i pezzi in modo che tutti tocchino il fondo del tegame. Il tegame classico è quello di coccio. Io uso l’acciaio, perché siamo nel XXI secolo.
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Coprite e fate cuocere per un quarto d’ora, poi levate il coperchio e fate asciugare il liquido.
Tenete un po’ di acqua calda a parte, potrete giocarci alla fine per dare la coloritura preferita alla carne e regolare la densità del fondo di cottura.
A me piace “tirarlo” fino ad asciugatura completa e lasciarlo un po’ “caramellare”, poi prima che si attacchi aggiungo poca acqua calda a stemperare il fondo e a fare un po’ di sughetto.
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Crostino
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Tagliamo a tocchi le interiora e prendiamo un po’ di foglie di timo e rosmarino.
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Soffriggiamo un cipollotto e uno spicchio d’aglo e poi aggiungiamo le interiora e le erbe aromatiche. Facciamo andare tutto a fuoco vivo.
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A cottura quasi ultimata abbondante brandy e, non appena prende temperatura, una bella flambata al tutto.
Se volete passarla a coltello finemente è anche meglio, quando ho tempo lo faccio, oggi ero di fretta.
Raccogliamo il tutto e frulliamo, regolando di sale, pepe e olio a piacere.
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Ci siamo. Stappa il vino che mi è venuta sete!
Chi ci beve rosso, chi ci beve bianco: Ormeasco o Rossese per i primi, Vermentino o Pigato per i secondi. Io, personalmente, Vermentino. La seconda bottiglia, perché la prima si stappa per “dare da bere” al coniglio in casseruola e finisce prima che sia cotto.
Buon appetito a tutti.
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